Non Pensarci

Stefano è il chitarrista di un gruppo rock romano appartenente ad una famiglia benestante, dalla quale si è allontanato per seguire la sua passione per la musica. Tornato a casa dopo un concerto finito poco bene, scopre che la fidanzata lo tradisce e, senza fare troppo scenate, prende le sue cose e torna a Rimini, sua terra natale, dove manca da quattro anni. Contenti, genitori e fratelli, lo accolgono a braccia aperte ma dietro questa apparente tranquillità e prosperità si celano una serie di problemi che tutti confideranno a Stefano, facendolo sentire responsabile non solo della sua vita, ma anche di quella della sua famiglia.
Gianni Zanasi, regista di Non pensarci, è stato paragonato a Wes Anderson… e forse qualche somiglianza la troviamo nel tema della famiglia, in alcune carrellate in ralenti, ma la pellicola è italiana a tutti gli effetti e non vuole certamente scimmiottare qualcosa di oltreoceanico.
Una commedia che parla di crisi esistenziale, di bugie, di fallimento, ma anche della capacità di riprendersi. Forse la banalità della pellicola sta nel fatto di ripetere che “anche i ricchi piangono”; ma il prodotto è comunque molto piacevole; un film che non annoia, che passa delicato, fino ad un’emblematica scena finale.
Inutile elogiare le doti recitative di Valerio Mastandrea, che viene accompagnato, altrettanto magistralmente, tra alcuni tra i migliori attori presenti sul panorama italiano attuale come Giuseppe Battiston e Anita Caprioli.
La colonna sonora si alterna tra celebri brani di musica classica e pezzi rock contemporanei, meno conosciuti. Una pellicola, inoltre, che contiene qualche citazione cinematografica.
“Non stavamo meglio quando ci dicevamo le bugie, mamma?”

VOTO: 7/10

Il Buono


Scheda tecnica
Titolo:
Non Pensarci
Regia:
Gianni Zanasi
Sceneggiatura:
Michele pellegrini, Gianni Zanasi
Anno:
2007
Genere:
Commedia, drammatico
Interpreti Principali:
Valerio Mastandrea, Giuseppe Battiston, Anita Caprioli, Caterina Murino, Teco Celio, Gisella Burinato
Durata:
105 min
Nazionalità:
Italia
Colore:
Colore

This Must Be the Place

Ho provato sabato ad andare al cinema per vedere questo film, ma arrivando quasi all'ultimo, ormai i biglietti erano finiti. Mi sono detto: strano, non pensavo che fosse un film così “mainstream”. Mi sono ripresentato ieri e mi sono goduto lo spettacolo. Il film è improntato sulla storia di Cheyenne una star dark-pop ormai da tanti anni fuori dallo showbiz. La sua vita di eccessi lo ha notevolmente debilitato fisicamente, ma la sua mente per quanto sembri assopita è a suo modo ricettiva. Cheyenne vive una vita nell'agiatezza con sua moglie, ma è avviluppato dalla noia e soprattutto dal rimorso e dal senso di colpa. Le sue vecchie canzoni hanno infatti portato al suicidio due ragazzi. L'unica sua occupazione è cercare di far fidanzare una una sua giovane amica (Mary) con un bravo ragazzo che lavora in una caffetteria. A spezzare questa monotonia sarà la morte del padre di Cheyenne, con cui lui non ha più rapporti da 30 anni. Ciò lo porterà in America alla ricerca di suo padre, del suo passato e anche di se stesso. Salta subito all'occhio la somiglianza fra Cheyenne e il leader dei Cure Robert Smith, ed anche la somiglianza con Ozzy Osbourne data dalla sua lentezza e il suo modo di fare fra le sfarzose mura di casa. Nell'incrocio di questi due personaggi, viene fuori un uomo annoiato, senza più uno scopo, che ha dentro un vuoto da colmare. Quando gli eventi lo faranno precipitare in America, troverà nella ripresa del lavoro abbandonato da suo padre, il mezzo per riscoprirsi e per crescere.
Sorrentino continua a fare un cinema evocativo attraverso gli ambienti (come ad esempio ne Il Divo), ma lascia da parte il mondo della corruzione dei loschi affari che hanno caratterizzato i suoi film. I pochi dialoghi, le voci deboli e i lunghi silenzi ricordano un po' il cinema nord-europeo, ma c'è una colonna sonora che entra direttamente nel film compenetrandosi in esso e nel suo significato, riempiendo così i vuoti che sono lo sfondo del film. Già il titolo ci fa presagire l'importanza della musica in questo film, esso infatti è un famoso pezzo dei Talking Heads. Il testo di questa canzone ci parla in qualche modo di Cheyenne, descrive ciò che sente, che prova, ciò che le immagine e i dialoghi non riescono ad esprimere. La colonna sonora quindi non entra “nell'azione” come accade nei musical (se non nel momento sublime dell'esibizione di David Byrne, genio dei Talking Heads), ma confluisce nell'architettura narrativa. Non mancano scene divertenti e commoventi, come quella del bambino che vuole cantare This must be the place insieme a Cheyenne; scena emblematica in mezzo al percorso del film.
La regia è un po' discontinua, talvolta lenta e che perde tematiche e sotto-trame lungo il cammino, inoltre ci sono scene che per alcuni potrebbero “essere inutili”. Questo tipo di regia però ha il merito di dare un volto diverso alla narrazione, focalizzandosi su tutto ciò che sta intorno ai fatti stessi, su ciò che sta dentro di noi e non sul creare una storia avvincente. Sean Penn, riesce ad esprimere perfettamente questo guazzabuglio con espressioni convincenti, senza far precipitare il personaggio nello stereotipo della star fallita. Nel complesso un film che inserisce la musica come elemento da assemblare all'ormai rodata capacità di Sorrentino nel ricreare ambientazioni; risulta a volte lento, ma stuzzica la nostra curiosità.

Voto: 7.5/10 

 Il brutto


Scheda Tecnica
Titolo:
This Must Be Place
Regia:
Paolo Sorrentino
Soggetto:
Paolo Sorrentino
Sceneggiatura:
Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Anno:
2011
Genere:
Drammatico
Interpreti principali:
Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson
Durata:
118 min
Nazionalità:
Italia, Francia, Irlanda
Colore:
Colore

Drive

Mh… strano questo Drive.
Un giovane, di cui non ci è dato di sapere il nome, lavora in un’officina e, in quanto ottimo pilota, arrotonda facendo lo stunt man nei film d’azione e, sempre in quanto ottimo pilota, arrotonda un altro po’ facendo da autista per le rapine di qualunque criminale si rivolga a lui. Gli si presenta l’occasione per una carriera da pilota automobilistico ma conosce una donna con figlio annesso, scatta qualcosa e lui, per aiutare il marito di lei in degli affari un po’ loschi, perde le sue prospettive rosee.
Un film che gioca molto sui silenzi, forse anche troppo: diciamo che lo sceneggiatore non s’è dovuto ammazzare, ecco. Una fotografia molto selettiva, che tende a tagliare il superfluo, ma comunque accattivante. Un film che resta sempre in sospeso, con una trama che sembra non decolli mai, quando poi si capisce che è già decollata. Il soggetto è tratto da un romanzo di James Sallis e la regia è di  Nicolas Winding Refn.
Drive è un mix di cose: c’è il drammatico, c’è il romantico, c’è un sacco di sangue, ci sono le corse in auto, ci sono i criminali. È chiaramente ambientato ai giorni nostri, ma sembra una storia degli anni ’80 (illusione fomentata dalla colonna sonora e dalla scelta “font+colore” dei titoli di testa).
È Ryan Gosling che interpreta il calmo e silenzioso “driver”; attore che non amo in modo particolare (e che collego immancabilmente alla figura del giovane Hercules) ma che non sembra totalmente fuori luogo in questo film. Anche la protagonista femminile, seppur talvolta evanescente, trovo che abbia un suo peso nella faccenda.
Le circostanze che trasformano il nostro pacatissimo personaggio in uno spietato e sanguinario assassino si susseguono in maniera lineare ma un po’ caotica, e c’è forse troppo sangue che sporca la pellicola. Drive è sostanzialmente un film d’azione/thriller, al quale si è voluto dare un tono più riflessivo e silente; aspetto che ha causato forti divergenze di giudizio. Personalmente trovo che sia un film di un certo livello che merita almeno una visione, dai meno impressionabili.

VOTO: 8/10

Il Buono


Scheda tecnica
Titolo:
Drive
Regia:
Nicolas Winding Refn
Soggetto:
James Sallis (romanzo)
Sceneggiatura:
Hossein Amini
Anno:
2011
Genere:
Azione, drammatico, thriller
Interpreti Principali:
Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Albert Brooks, Ron Perlman
Durata:
100 min
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore

La Parola ai Giurati

America, seconda metà degli anni ’50. In una caldissima giornata estiva, dodici giurati chiusi in una stanza devono decidere se mandare sulla sedia elettrica un giovane accusato di aver ucciso suo padre. Sembrano tutti d’accordo sulla colpevolezza del ragazzo tranne uno, che inizierà a mostrare dei dubbi e tenterà di convincere gli altri dell’inconsistenza delle prove contro il giovane imputato.
La parola ai giurati è un film che in un’ora e mezzo affronta in maniera semplice, sintetica, ma assolutamente profonda, più temi contemporaneamente. In particolare il film evidenzia come sia facile prendere decisioni affrettate anche quando sono in gioco cose grosse; una vita umana, in questo caso. Da questo tema principale ne scaturiscono molti altri, alcuni che passano attraverso le esperienze dei singoli protagonisti, altri dall’interazione tra due o più di essi.
La particolarità della pellicola è quella di non avere musiche (se non all’inizio ed alla fine) ed essere girata quasi interamente nella stessa stanza; nonostante questo riesce a tenere alto l’interesse.
I dialoghi che s’intrecciano, la tensione che aumenta con il sudore, le opinioni che variano costantemente… tutti elementi che fanno di questo film un’opera di grande valore.
La sceneggiatura fu tratta dall’omonima serie TV del 1954 che ebbe un grande successo. La regia per la trasposizione cinematografica fu affidata ad Sidney Lumet. Grande uso di piani sequenza, di primissimi piani, carrellate; ogni movimento di macchina, ogni gioco di luci ed ombre valorizzate dal bianco e nero, serve a creare la giusta tensione tra il film e lo spettatore.
Altra peculiarità del film è che dei “dodici uomini arrabbiati” (questo il titolo in lingua originale) non si viene a sapere il nome, se non in casi eccezionali: questo per affermare chiaramente che ognuno di noi potrebbe trovarsi a dover decidere della vita di un uomo (ricordiamoci che negli Stati Uniti esiste il sistema della giuria popolare), tema confermato dalle profonde differenze tra i vari protagonisti.
Un film che fa riflettere parecchio su come sia difficile rimanere oggettivi, lucidi, o anche solo seri, di fronte alle decisioni che sta a noi prendere, ma che riguardano altri.

VOTO: 8,5/10

Il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
La parola ai giurati
Titolo originale:
12 angry men
Regia:
Sidney Lumet
Soggetto:
Reginald Rose (serie TV)
Sceneggiatura:
Reginald Rose
Anno:
1957
Genere:
Drammatico
Interpreti Principali:
Henry Fonda, Lee j. Cobb, E.G. Marshall, Jack Warden, Joseph Sweeney, Ed Begley
Durata:
96 min
Nazionalità:
USA
Colore:
B/N

La Signora Omicidi

Il professor Marcus è un geniale criminale a capo di una variegata banda di malfattori, pronti a compiere la rapina del secolo. Al piano manca solo un ignaro complice, complice che verrà trovato nella signora Louisa Wilberforce, un'innocua vecchietta che cerca un inquilino a cui affittare una delle stanze della sua casa. Ma qualcosa andrà storto, e l'insistente vecchietta causerà più problemi di quanti il gruppo di ladri potesse immaginare. La signora omicidi (pessima traduzione del titolo originale, The ladykillers) è un classico della commedia inglese, conosciuto anche grazie al recente remake dei fratelli Coen, e che punta tutto sulla tipica comicità british. Perciò niente risate sguaiate, ma il divertimento c''è ugualmente, solo più pacato, con qualche punta di nonsense, da gustare seguendo la storia e chiedendosi come andrà a finire questa strana vicenda. Il ruolo del professore è dato ad un grande Alec Guinness (si, proprio Obi-Wan nella Trilogia Classica di Star Wars), che ne da un'interpretazione adattissima, viscida al punto giusto, mentre gli altri protagonisti forse sono meno tratteggiati ma svolgono bene il loro ruolo, grazie anche al personaggio della vecchietta, dolce ma fastidiosissima, attorno alla quale si dipana tutta la trama. Gli ambienti sono ben studiati per fare da contorno agli assurdi avvenimenti e appena avrete finito di vedere il film vi sembrerà di essere stati davvero nella sbilenca casa della signora Wilberforce o sul fumoso pontile sopra la ferrovia. La signora omicidi è quindi un film divertente e ben fatto, ricco di umorismo nero e per molti versi diverso dal più recente remake. Non saprei dire quale dei due è il migliore (forse il remake è più elaborato, mentre l'originale è meno macchinoso e più lineare), ma penso che entrambi meritino almeno una visione.

VOTO: 7,5/10

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
La Signora Omicidi
Titolo Originale:
The Ladykillers
Regia:
Alexander Mackendrick
Soggetto:
William Rose
Sceneggiatura:
William Rose
Anno:
1955
Genere:
Commedia
Interpreti principali:
Alec Guinness, Peter Sellers, Cecil Parker, Katie Johnson
Durata:
97 min
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore