L'uomo nero

 
L'uomo nero, ultima fatica di Rubini, si presenta nella prima scena con la morte dell'ormai vecchio Ernesto (Sergio Rubini) padre di Gabriele (Fabrizio Gifuni), per poi lasciare quasi completamente il resto della pellicola (salvo l'ultima parte) al Flashback di Gabriele bambino. Ambientato nella Puglia tanto cara a Rubini (vedasi: Terra o Tutto l'amore che c'è) vengono rappresentati i suoni, i colori e la semplicità di mezzo secolo fa. Queste emozioni vengono prima di tutto espresse attraverso Ernesto, capostazione dal carattere irascibile ma dalla sensibilità profonda manifestata nella pittura: per lui evasione e ricerca di autostima. Sua moglie Franca (Valeria Golino) è invece una donna inserita professionalmente (insegnante), che trova anche il tempo per la casa e la famiglia. Insomma la donna perfetta. In casa con loro vive anche Zio Pinuccio, ruolo finalmente che riesce a fare esprimere in un contesto diverso Scamarcio, con buoni risultati. Zio Pinuccio, è sempre appresso alle femmine, senza l'intenzione di maritarsi, ed ha un forte legame con Gabriele, a cui insegna come rapportarsi con le bambine. Gabriele vive in questa famiglia allargata all'ombra delle umiliazioni del padre, a cui si ripromette di non assomigliare mai. Il film ci fa riassaporare la convivialità della vita paesana, quella dove si viveva in strada a contatto con le persone, dove tutti sapevano tutto e in cui le valutazioni di un'artista erano in mano ad una sola persona (per altro mossa esclusivamente dagli interessi). Ci fa tornare la nostalgia di quei piccoli gesti che oggi nemmeno si immaginano: come il lancio delle caramelle ai bambini dal treno o portare le paste ogni qualvolta si fa una visita ad amici/parenti. In una vita così impegnata e organizzata come quella di oggi non abbiamo più la semplicità e l'abitudine ad essere cortesi a dare qualcosa senza ricevere niente in cambio. Risentire i suoni del paese, delle persone, rivedere le campagne e i colori della terra ci toccano e ci danno l'incombenza di ricercare il rapporto umano per continuare ad emozionarci!

VOTO 7/10

Sempre più Brutto

Scheda tecnica
Titolo:
L'uomo nero
Regia:
Sergio Rubini
Soggetto:
Sergio Rubini, Domenico Starnone, Carla Cavalluzzi
Sceneggiatura:
Sergio Rubini, Domenico Starnone, Carla Cavalluzzi
Anno:
2009
Genere:
Commedia, Drammatico
Interpreti Principali:
Sergio Rubini, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Gifuni
Durata:
90 min
Nazionalità:
Italia
Colore:
Colore

Wolfman

Wolfman è il remake del film The Wolf Man del 1941, e subito si presenta come un omaggio ai classici dell'horror: buona caratterizzazione dei personaggi, più profonda di quello che può sembrare, fotografia tendente al grigio e uso del make-up e non solo di effetti in computer grafica. Nell'Inghilterra dell'epoca vittoriana, Lawrence Talbot fa ritorno a casa dopo molti anni di assenza per indagare sulla misteriosa morte del fratello, che sembra sia stato sbranato da una bestia sconosciuta.
Dopo una breve presentazione dei personaggi, il film entra subito nel vivo della storia, che scorre velocemente senza soffermarsi troppo sui particolari. Le poche informazioni sul protagonista ci vengono date da qualche flashback qua e là che permettono allo spettatore di farsi un'idea generale sulla sua psicologia senza scavare troppo a fondo. Del resto la pellicola non lascia il tempo di porsi domande, portando avanti la vicenda evitando i tempi morti, senza però risultare troppo frenetica. Nella norma le interpretazioni dei vari attori (a dire la verità Benicio Del Toro non mi è sembrato molto convinto di quello che stava facendo), in particolare si ritaglia una parte interessante Hugo Weaving (l'agente Smith di Matrix), interpretando un personaggio, l'ispettore di Scotland Yard, assente nella pellicola originale.
Il difetto principale di Wolfman è però il montaggio. Destinato ad uscire nelle sale il 12 novembre 2009 per poi essere spostato al 2010, il film ha avuto una produzione lunga e travagliata, con cambi di regista, due colonne sonore diverse, finali e scene rigirate. Questo ha portato il prodotto finale ad essere montato in modo discutibile, mostrando che la pellicola è stata rimaneggiata varie volte. Spesso le scene sembrano tagliate in malo modo, o inserite a forza per far capire allo spettatore cose scontate. Le cose peggiori a mio parere sono i flashback in rapida successione e soprattutto le fastidiosissime inquadrature velocizzate della luna che sorge e delle nuvole che passano nel cielo, che dovrebbero far capire che è passato del tempo.
Nonostante questo montaggio confuso il film si rivela un buon horror vecchio stile (con qualche incursione nel moderno, tipo gli sbudellamenti e il combattimento finale), e rende bene l'atmosfera oscura adatta ad una storia che parla di maledizioni, lune piene e lupi mannari, senza essere troppo pesante grazie alla sua breve durata.
Comunque molto meglio della maggior parte dei film dell'orrore attuali, ed è già qualcosa, no?
VOTO: 7/10

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Wolfman
Titolo Originale:
The Wolfman
Regia:
Joe Johnston
Sceneggiatura Originale:
Curt Siodmak
Sceneggiatura:
Andrew Kevin Walker, David Self
Anno:
2010
Genere:
Horror
Interpreti Principali:
Benicio Del Toro, Anthony Hopkins, Emily Blunt, Hugo Weaving
Durata:
102 min
Nazionalità:
USA/Regno Unito
Colore:
Colore

Bastardi Senza Gloria

Inglourious Basterds è l'ultima fatica cinematografica di Quentin Tarantino, e secondo me rappresenta il suo miglior film. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Francia occupata, un gruppo di soldati ebrei americani (i Bastardi del titolo) si inoltrano nel territorio nemico con l'unico scopo di uccidere più nazisti possibili. Nel frattempo Shosanna, una ragazza ebrea sopravvissuta al massacro della sua famiglia, avvenuto per mano dell'ufficiale tedesco Hans Landa, prepara la sua vendetta. Bastardi Senza Gloria è il film della maturità di Tarantino: lasciate perdere le esagerazioni cartoonesche di Kill Bill (nell'uso della violenza, nella creazione dei personaggi, nelle scelte registiche), qui il regista spinge meno sull'acceleratore, ottenendo una pellicola più lenta, ma in senso positivo. Sembra una contraddizione: un film di guerra senza scene di guerra. E invece ci sono ancora le esplosioni di violenza, ma sono strategicamente distribuite nel corso della storia. Bastano i dialoghi a tenere alta l'attenzione dello spettatore, grazie ad una sceneggiatura di ferro, ad una regia mai eccessiva e ad un cast perfetto (la scelta degli attori è sempre stato un punto forte di questo regista) che non fanno mai calare la tensione, nonostante la maggior parte delle scene si svolga in luoghi chiusi con i personaggi impegnati in lunghi dialoghi in varie lingue. Tornano come sempre i segni distintivi di Tarantino: la divisione del film in capitoli, la presenza di più storie che si intrecciano, la già citata violenza, limitata in quantità ma non in qualità e il tema della vendetta, ereditato dai registi asiatici (si veda Oldboy di Park Chan-wook, ad esempio) e italiani (negli spaghetti western, Per Qualche Dollaro In Più di Sergio Leone). Non mancano infatti le continue citazioni e autocitazioni cinematografiche, che si innestano perfettamente nella trama, senza quasi farsi notare, e praticamente impossibili da elencare dato il grande numero: il titolo viene da Quel Maledetto Treno Blindato di Enzo Castellari, i nomi di vari personaggi sono omaggi ad attori o registi (Ed Fenech, Hugo Stiglitz, Antonio Margheriti), anche i temi musicali (parecchi sono di Ennio Morricone) e le riprese sono spesso citazioni di altre pellicole. Ci sono inoltre continui riferimenti al cinema tedesco dell'epoca, in un profluvio di citazioni su citazioni, che mostrano tutto l'amore di Tarantino per la settima arte. Ed è proprio in un cinema che si svolgono gli eventi cruciali della pellicola, durante la proiezione di un film nel film (diretto da Eli Roth, che interpreta anche il Bastardo noto come l'Orso Ebreo), come a dire che il cinema può cambiare il mondo, ma allo stesso tempo per sottolineare in modo ancora più marcato quanto si sia divertito il regista a creare tutto ciò. Ed è proprio questo il bello dei film di Quentin Tarantino, la passione e il divertimento che trasudano da ogni singolo fotogramma, grazie anche alla capacità di assorbire qualsiasi stimolo proveniente dal mondo cinematografico e rielaborarlo secondo il suo stile, creando un prodotto originale e intelligente. Continua così, Quentin.
VOTO: 9/10

Con disprezzo per voi poveri mortali, Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Bastardi Senza Gloria
Titolo Originale:
Inglourious Basterds
Regia:
Quentin Tarantino
Sceneggiatura:
Quentin Tarantino
Anno:
2009
Genere:
Guerra, Azione
Interpreti Principali:
Brad Pitt, Christoph Waltz, Eli Roth, Michael Fassbender, Diane Kruger, Daniel Brühl, Til Schweiger, Mélanie Laurent
Durata:
153 min
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore

Léon

Prendete un sicario italiano trasferitosi a New York all’età di 19 anni; conditelo con un look che ricorda vagamente quello di John Lennon; fategli bere solo ed esclusivamente latte; aggiungeteci la faccia di Jean Reno ed avete ottenuto Léon. Ora prendete Natalie Portman quando aveva ancora il latte alla bocca; vestitela nel modo più succinto possibile (per una ragazza di 12 anni) e fatela comportare come una sessantenne dalla dubbia integrità morale ed avete Mathilda.
La trama non è delle più intrecciate, però (e questa secondo me è una delle prime cose che rende un film degno di questo nome) non annoia. Non ti tiene attaccato allo schermo impedendoti anche di respirare (come solo alcune puntate di Lost sanno fare), però scorre che è un piacere senza farti venire voglia di iniziare a bucarti le mani con delle matite solo per movimentare la situazione… come, ahimè, succede per certi film.
Léon abita all’ultima porta dell’ultimo piano di un palazzo newyorchese, una porta davanti a lui vive una famiglia che viene sterminata, a causa di affari di droga andati male, da un cattivone, Stanfield, che si scopre in seguito essere proprio un poliziotto dell’antidroga (tranquilli, non vi ho rovinato la trama del film; si scopre quasi subito, inoltre se uno è attento e sveglio lo si può capire da una frase che dice il personaggio dopo il massacro). La giovane Mathilda è l’unica della famiglia che scampa alla carneficina e trova rifugio a casa del killer italoamericano, che dal suo buco della serratura ha visto tutta l’allegra scenetta. La ragazzina vuole vendetta; non per tutta la sua famiglia, che odiava a morte, ma solo per il piccolo fratellino di 4 anni, che era l’unico a meritare affetto.
Va da sé che, sulle prime, Léon non la vuole di mezzo ma poi, per non sbatterla in mezzo ad una strada, la prende sotto la sua tutela e si fa convincere ad insegnarle il mestiere. Lei gli insegna a leggere e a scrivere, gli insegna l’amore, la sensibilità… e lui le insegna a falciare vite umane, o a “fare pulizie”, come usano dire i due.
Il resto del film è piuttosto prevedibile, o comunque non ci si stupisce più di tanto col susseguirsi degli eventi però, ripeto, è un film che vale la pena di vedere, anche più di una volta.
Largo uso di primi piani, da parte del regista Luc Besson. Grande interpretazione, da parte dei tre protagonisti principali (mi veniva voglia di darle due schiaffoni io, alla Portman, e urlarle che non ci si comporta come una prostituta all’età di 12 anni!); Jean Reno si cala perfettamente nella parte del sicario freddo e insensibile che poi però si fa intenerire da due occhioni dolci e smarriti. Gary Oldman (che i più conosceranno come Sirius Black nella saga del maghetto con gli occhiali da nerd di seconda categoria) nella parte del cattivone, interpreta alla perfezione la psicopatia del personaggio.

VOTO: 7,5

Con affetto, Il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
Léon
Regia:
Luc Besson
Soggetto:
Luc Besson
Sceneggiatura:
Luc Besson
Anno:
1994
Genere:
Drammatico
Interpreti Principali:
Jean Reno, Natalie Portman, Gary Oldman
Durata:
130 min ca.
Nazionalità:
Francia
Colore:
Colore

Brothers

Il film diretto da Jim Sheridan, remake del danese Non desiderare la donna d'altri ha due temi principali: la famiglia e la guerra. Essi saranno il filo portante di tutta la storia. La famiglia è composta dal padre Hank con la sua compagna Elsie e dai due figli Sam (Toby McGuire) e Tommy (Jake Gyllenhall). Sam è sposato con Grace (Natalie Portman) ed ha due bellissime bambine, mentre Tommy è il classico lupo solitario. Sin dall'inizio del film viene messa in evidenza la differenza tra i due fratelli. Sam rappresenta l'orgoglio della famiglia e Tommy gl'insuccessi del padre. Sam è uno stimato marine che serve la patria proprio come il padre aveva fatto in Vietnam; invece Tommy sembra poco più che un avanzo di galera. Sam dopo un breve momento di pausa dalla guerra è chiamato per una missione in Afghanistan, ed è costretto ancora a lasciare a casa moglie e bambini. Dopo qualche tempo dalla sua partenza viene annunciata alla moglie Grace la sua morte. Morte che darà una seconda possibilità a Tommy che potrà riscattarsi, prendendosi cura della moglie e dei bambini lasciati soli dal fratello. Questo nuovo equilibrio formato però verrà ancora una volta sconvolto da una novità dolceamara.
Il tema della guerra è visto da un punto di vista personale; man mano che il film procede viene messo a fuoco il dolore che essa provoca in ogni famiglia. Nel film questo dolore prima, si manifesta attraverso l'ansia costante di chi è in pensiero per la vita di Sam, e dopo attraverso il buco sentimentale e materiale che procura la sua non-presenza ai suoi cari. La guerra viene rappresentata come la radice dei problemi. Essa penetrata nel padre Hank (che diventa un uomo austero, poco attento ai bisogni di chi ha intorno) e viene trasmessa a Sam corrodendolo nel profondo. Tommy, che invece riveste tra la famiglia il ruolo dell'emarginato, diventa l'inconsapevole figura positiva del film. Seppur con un carattere irrequieto rifiuta di seguire le orme del padre ed evita il diretto contatto con i confilitti mediorientali riuscendo a trovare il suo equilibrio nella tranquillità del suo paesino. Un film che fa riflettere sulla responsabilità delle nostre scelte verso le persone che ci amano. Porta davvero un beneficio così grande al mondo la guerra nel medioriente? Tanto da arrecare dolori insanabili a milioni di famiglie?

VOTO 6.5/10


Il Brutto



 Scheda Tecnica:
Titolo:
Brothers
Regia:
Jim Sheridan
Soggetto:
Susanne Bier, Anders Thomas Jensen
Sceneggiatura:
David Benioff
Anno:
2009
Genere:
Drammatico, Guerra
Interpreti Principali:
Toby McGuire, Jake Gyllenhaal, Natalie Portman
Durata:
105 minuti
Nazionalità:
Stati Uniti
Colore:

Colore

The Producers

The Producers può essere considerato contemporaneamente il primo e l'ultimo film di Mel Brooks. Ultimo in ordine temporale (anche se non ne ha curato la regia) e primo perchè la trama è la stessa di Per favore, non toccate le vecchiette, sua pellicola d'esordio che ha vinto l'Oscar come migliore sceneggiatura originale. La storia racconta di due produttori di Broadway che organizzano una truffa che permette loro di guadagnare milioni di dollari nel caso il loro spettacolo fallisca. Trovano così il peggior copione possibile ("Primavera per Hitler", un'apologia del nazismo) e il peggior regista sulla piazza (che darà una piega parecchio gay(a) allo spettacolo) per ottenere un fiasco assicurato, ma le cose andranno diversamente dalle aspettative. The Producers è un divertente musical che non scade mai nella demenzialità o nella volgarità eccessiva, cosa piuttosto rara nei film comici degli ultimi anni. I personaggi sono caratterizzati in modo esagerato e farsesco, in particolar modo i due protagonisti, frustrato e insicuro l'uno (porta con se una coperta azzurra che gli da sicurezza fin da bambino, vi ricorda qualcuno?), fanfarone e pieno di risorse l'altro. Da notare anche la bella Uma Thurman qui in versione bionda sexy. Le parti musicali, scritte e composte dallo stesso Mel Brooks, sono ben costruite, basta vedere la messa in scena finale del musical, con le coreografie ballate da ragazze vestite in uniformi naziste e l'interprete di Hitler che canta "Hail a me". Come in molti altri suoi film (Essere O Non Essere su tutti), Brooks si prende gioco del nazismo, deridendolo e sbeffeggiandolo in ogni modo, mostrando che si può ridere di qualsiasi cosa.
Quindi una commedia riuscita, leggera e fresca nonostante sia stata scritta più di trent'anni fa.
VOTO: 7/10

Mai vostro, Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
The Producers - Una Gaia Commedia Neonazista
Titolo originale:
The Producers
Regia:
Susan Stroman
Sceneggiatura:
Mel Brooks, Thomas Meehan
Anno:
2005
Genere:
Musical
Interpreti Principali:
Nathan Lane, Matthew Broderick, Uma Thurman, Will Ferrell
Durata:
134 min
Nazionalità:
Stati uniti
Colore:
Colore

L'odio

Avete presente Il favoloso mondo di Amélie? Avete presente il protagonista maschile? Ecco, non lo direste mai ma lui, oltre ad essere evidentemente un attore, è un regista! Si chiama Mathieu Kassovitz ed è quello che, per darvi un’idea, ha girato Gothika e Babylon A.D.; L’odio, a dire il vero, ha poco a che fare con questi due ultimi film. Non è né un film che parla di mercenari pelati né di morti ancora vivi… L’odio è un’altra cosa.
Siamo nei sobborghi di Parigi, all’indomani di una nottata all’insegna di scontri urbani tra manifestanti e forze dell’ordine. La scintilla che fa scatenare la guerriglia è il pestaggio, da parte della polizia, di un ragazzo di 16 anni avvenuto durante un interrogatorio. Le immagini della rivolta si vedono all’inizio del film, e sono immagini reali prese dagli archivi; la storia vera e propria inizia la mattina seguente, quando Saïd, un giovanotto che cerca di fare il ghetto-boy con evidente difficoltà, va a svegliare Vinz, un coetaneo che si crede un figo che può spaccare il mondo a testate! I due vanno a trovare Hubert, giovane pugile di colore che, durante la notte precedente, ha perso la palestra che si era messo su a causa di un incendio. I tre si fanno un giro per vedere com’è la situazione dopo la nottata burrascosa e gli eventi li porteranno in situazioni non proprio gradevolissime. Lo svolgimento del film è privo di grossi colpi di scena: fila quasi tutto liscio, fino alle ultime scene del film dove, invece, la situazione si anima un bel po’ dopo l’arrivo della notizia della morte del ragazzo che è stato pestato.
La pellicola vuole essere un accusa all’abuso di potere esercitato dalle forze dell’ordine. La storia prende spunto dalla reale uccisione di un ragazzo nella periferia parigina, da parte della polizia. Dall’altro lato è anche un richiamo alla calma verso i giovani che si sentono in dovere di dire la loro con le molotov.
Il regista decide, con la “piattezza” della trama, di mettere il focus sulla morale del film, più che sugli eventi stessi, una morale che, dei tre protagonisti, forse solo Hubert ha veramente chiara: l’odio chiama altro odio.
Pellicola del 1995, interamente in bianco e nero, scelta stilistica che da un tono interessante al film, con un giovanissimo Vincent Cassel ed un altrettanto giovane Saïd Taghmaoui nella parte dei due sbruffoncelli del ghetto francoise… vincitrice del premio per la miglior regia al 48° Festival di Cannes e qualche altro premio qua e là, e scusate se è poco!
Nel film ci sono diverse citazioni che rimandano ad alcuni “duri” del cinema; la più evidente è la scena dello specchio: Vinz (Cassel) si guarda nello specchio puntandosi una pistola immaginaria addosso e ripetendo la frase “Ce l’hai come me? No, dico, è con me che ce l’hai?!”, chiarissimo richiamo alla celebre scena di Taxi Driver.
Un film che consiglio vivamente per ogni suo aspetto: la regia, l’interpretazione assolutamente calata nella parte e quei minuti finali da brivido!

VOTO: 8,5/10

Sempre vostro, il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
L’odio
Titolo originale:
La haine
Regia:
Mathieu Kassovit
Sceneggiatura:
Mathieu Kassovit
Anno:
1995
Genere:
Drammatico
Interpreti Principali:
Vincent Cassel, Hubert Koundé, Saïd Taghmaoui
Durata:
95 min
Nazionalità:
Francia
Colore:
B/N

Avatar

Questa recensione era stata scritta per il mio blog, ma la ripubblico anche qui.

Ma ho visto lo stesso Avatar che ha visto tutto il resto del mondo?!?
Fino a poco tempo fa non mi interessava minimamente come film, ma a forza di sentire pareri entusiasti e gente stupefatta mi sono incuriosito e sono andato a vederlo (in 3D ovviamente).
Siamo nel futuro e i terrestri cercano di colonizzare il pianeta Pandora per sfruttarne le risorse minerarie, ostacolati dai Na'Vi, gli indigeni del posto. Attraverso il programma Avatar, un marine può controllare telepaticamente un corpo (l'Avatar appunto) creato in laboratorio unendo il dna umano e quello Na'Vi, in modo da poter studiare più da vicino gli alieni. Ovviamente Jake, il nostro marine, si integra sempre più nella comunità locale, imparando i loro usi e costumi, fino ad essere riconosciuto come parte del loro popolo. Altrettanto ovviamente si innamorerà della figlia del capo tribù e guiderà la rivolta contro gli invasori umani, fino al naturale lieto fine. La storia più banale del mondo. Era questo che pensavo aspettando che finissero le interminabili 2 ore e 42 minuti di proiezione. Visivamente innovativo, è vero, computer grafica ai massimi livelli, è vero, perfetta implementazione del motion capture, è vero, ma non basta questo per fare un buon film. Non basta un lavoro creativo eccezionale nel'ideare creature, piante e alieni vari se manca una storia ben fatta. Oltre a essere eccessivamente semplice (il che potrebbe non essere un difetto, se fosse sviluppata in modo migliore) è completamente prevedibile. Già dai primi minuti si sa come andrà a finire. Non chiedo colpi di scena alla "Io sono tuo padre", ma neanche una mancanza di originalità a questi livelli. Probabilmente l'intento del regista era usare personaggi e intrecci semplici in modo da trasformare il film in una chiara metafora ambientale, ma così è fin troppo lineare! A pensarci bene potrebbe tranquillamente essere un film di George Lucas, le sue caratteristiche sono tutte presenti: trame semplici, personaggi appena caratterizzati (il colonnello dei marines non si può proprio vedere...), effetti speciali a profusione e il tema della natura che vince sulla tecnologia. In Star Wars tutto ciò può funzionare, perchè ogni film è solo una parte di una saga più ampia e intrecciata. Ma in Avatar sa troppo di già visto (qualcuno ha detto Pocahontas? La trama è la stessa, e il finale del cartone animato Disney secondo me era migliore) ricoperto da effetti speciali straordinari che vogliono distrarre lo spettatore dalla mancanza di sostanza. Non c'è nessun coinvolgimento emotivo, si rimane colpiti dalla straordinaria cura con cui è stato creato il pianeta Pandora, ma nulla di più. E se gli effetti speciali sono più importanti della storia e delle emozioni, qualcosa non va. Mi spiace Cameron, ma questo non è il vero Cinema.
Quindi non lo ritengo il capolavoro di cui si parla tanto, anzi raggiunge a malapena la sufficenza secondo me, e solo grazie alla parte visiva (che comunque è veramente eccezionale). Penso che se non l'avessi visto in 3D mi sarei addormentato dopo neanche un'ora.
VOTO: 6/10

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Avatar
Regia:
James Cameron
Sceneggiatura:
James Cameron
Anno:
2009
Genere:
Fantascienza
Interpreti Principali:

Sam Worthington, Zoë Saldaña, Sigourney Weaver, Michelle Rodríguez, Stephen Lang
Durata:
162 min
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore

Messaggio di servizio: VOTI (a rendere)

È stato deciso, di comune accordo, di mettere un voto, banalmente da 1 a 10, alla fine di ogni recensione. Così... per tirarcela ancora di più! Quindi da oggi in poi alle nostre piccole sentenze sarà aggiunta una scala di valori come metro di giudizio per i film che tratteremo (lo so che avevate capito bene anche prima e che non c'era bisogno di questa ulteriore spiegazione, ma mi scocciava aprire un post per due righe sole!).

Il Buono, e il resto della Direzione

La prima cosa bella

Premetto subito che questo film non mi ha entusiasmato più di tanto. Paolo Virzì mi piace come regista, ma stavolta non è riuscito a prendermi come in Ovosodo o N (Io e napoleone). Il film è ben realizzato; non tralascia nulla, personaggi e interpreti assolutamente impeccabili, però manca quel coinvolgimento che un film dovrebbe dare.
La storia si alterna tra la Livorno degli anni ’70 e quella di oggi. Bruno e Valeria (Valerio Mastandrea e Claudia Pandolfi) sono due fratelli cresciuti senza una stabilità familiare. La madre se li porta con sé quando viene cacciata di casa dal marito e loro sono costretti a seguirla in mille posti e a vederla sempre con un amante diverso. Ci sarebbero tutti i presupposti per una storia coinvolgente, bella e talvolta commovente ma non è così. I momenti di pathos ci sono ma non riescono a suscitare emozioni troppo forti.
È da elogiare l’interpretazione degli attori: Mastandrea e Pandolfi che, ancora una volta, sotto le direttive di Virzì si trovano a recitare con un accento che non è il loro ma che, ormai, gli riesce alla perfezione (lo dico perché sono di Pisa e l’accento livornese lo conosco molto bene); giusto un tantino italianizzato ma a scopi puramente cinematografici. Bravissime anche Micaela Ramazzotti e Stefania Sandrelli, che interpretano la madre dei due ragazzi in epoche ovviamente diverse, inoltre Sergio Albelli che fa un ruolo importante (il padre) ma che, almeno a me, è rimasto poco impresso. Il resto del cast è tutto alla livornese: Marco Messeri, Dario Ballantini, Paolo Ruffini e Roberto “Bobo” Rondelli… me l’aspettavo una parte riservata a quest’ultimo: cantautore livornese ormai celeberrimo nella città tirrenica e dintorni sul quale Virzì ha girato una sorta di “documentario” (L’uomo che aveva picchiato la testa) prima di quest’ultima fatica.
La regia è sicuramente professionale, visti gli anni di carriera. Grande utilizzo di primi piani e riprese a campo lungo e medio per avere due livelli di narrazione: quello generale e quello personale.
In conclusione si potrebbe dire che non è un film da sconsigliare, però non aspettatevi di essere travolti da forti sensazioni come alcune altre pellicole del regista livornese.

Il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
La prima cosa bella
Regia:
Paolo Virzì
Sceneggiatura:
Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo
Anno:
2010
Genere:
Commedia
Interpreti Principali:
Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Sergio Albelli, Marco Messeri
Durata:
116 min
Nazionalità:
Italia
Colore:
Colore