Pride and Glory - Il Prezzo dell'Onore

Fare un film sui poliziotti americani ormai è cosa da tutti: raccontare della corruzione che gira nei dipartimenti non fa più così scandalo, ma Gavin O’Connor ha deciso di provarci lo stesso e tutto sommato il risultato non fa venire l’orticaria.
La trama è abbastanza semplice: Ray è un poliziotto che, ormai affidato alle scartoffie d’ufficio, torna sul campo in seguito all’uccisione di quattro uomini del dipartimento cui fa capo suo fratello. Di questo dipartimento fa parte anche Jimmy, loro cognato, in quanto sposato con la sorella. L’assassino dei quattro è uno spacciatore ispanico molto “gangstaghettoblasta” e viene identificato da un ragazzino; sia Ray che Jimmy si mettono sulle sue tracce, seguendo piste diverse. Ray scoprirà però, a sue spese, che non sempre i criminali sono solo quelli con le treccine, i tatuaggi e le bandane, ma anche coloro che devono portare l’ordine e difendere la giustizia non sempre fanno il loro dovere. L’animo di Ray si troverà in mezzo ad una situazione che coinvolge la sua reputazione sul lavoro e i suoi legami familiari: dovrà scegliere se essere leale nei confronti della giustizia o omertoso per proteggere i suoi cari.
Pride and glory, tecnicamente parlando, difetta forse di alcune incoerenze registiche: si altalena da momenti dove la fotografia e i vari movimenti di macchina sono piuttosto studiati ad altre dove viene lasciato tutto un po’ al caso. È un film americano, sui poliziotti americani, quindi qualche forzatura, qualche offesa a madri e mogli gratuita e un po’ di sangue ci scappa sempre. Volgarità e parolacce in italiano (inglese, per la lingua originale) ed in spagnolo come se piovesse, cosa che personalmente dopo un po’ mi stucca.
Se non altro, il cast è molto importante e non ha bisogno di presentazioni: Edward Norton (Ray), Colin Farrell (Jimmy), Jon Voight, Noah Emmerich. Attori che danno alla pellicola un tono in più che probabilmente non avrebbe, chi deve fare il buono lo fa bene, chi deve fare il bastardo lo fa bene altrettanto.
Non è un’opera che si presta ad elogi smisurati, però è comunque un film che non fa male a vedersi.

VOTO: 7-/10

Il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
Pride and Glory – Il Prezzo dell’Onore
Titolo originale:
Pride and Glory
Regia:
Gavin O’Connore
Soggetto:
Gavin O'Connor, Greg O'Connor, Robert Hopes
Sceneggiatura:
Joe Carnahan, Gavin O'Connor
Anno:
2008
Genere:
Crimine, drammatico
Interpreti Principali:
Edward Norton, Colin Farrell, Jon Voight, Noah Emmerich
Durata:
130 min
Nazionalità:
USA
Colore:
colore

Star Wars: Episodio V - L'Impero colpisce ancora

Oggi è il 25 Maggio, e come ogni anno gli appassionati di fantascienza festeggiano lo Star Wars Day. Ma quest'anno è presente una ricorrenza in più da celebrare: il 21 Maggio del 1980 (esattamente 30 anni fa) usciva nei cinema il quinto episodio di una delle saghe più famose e apprezzate, capace ancora dopo tutto questo tempo di emozionare e divertire schiere di fan in tutto il mondo. Il vostro blog preferito non può evitare di unirsi alle celebrazioni, e lo fa con una recensione che parla proprio del film festeggiato.

Dopo due anni dalla distruzione della Morte Nera da parte dell'Alleanza Ribelle, l'Impero Galattico continua a dare la caccia allo sparuto gruppo di combattenti per la libertà. Rifugiatisi sul pianeta ghiacciato di Hoth, i ribelli, guidati da Luke Skywalker, Han Solo e dalla principessa Leia devono difendersi dall'attacco delle flotte di Darh Vader. Secondo film della saga di Star Wars in ordine di uscita (quinto in ordine cronologico), L'Impero colpisce ancora è probabilmente il migliore di tutta la serie. La storia si evolve, esplorando maggiormente le psicologie e le caratteristiche dei protagonisti presentati nell'episodio IV, costruendo una trama più adulta, mostrandoci sfaccettature nuove nei caratteri dei personaggi e introducendone di nuovi e perfettamente riusciti, come l'anziano maestro Yoda, Lando Calrissian o Boba Fett. Procedendo su due trame parallele (l'addestramento di Luke e la fuga di Han e Leia) che si intrecciano all'inizio e alla fine, il film cattura l'attenzione dello spettatore fino alla conclusione, dove è situato uno dei colpi di scena più famosi della storia del Cinema: ormai è di pubblico dominio, e inoltre è annullato nel caso vediate i film in ordine cronologico, ma all'epoca è stato veramente capace di lasciare a bocca aperta, e mantiene tuttora un impatto non indifferente sulla storia, quindi non ne parlo. La pellicola risulta più seria rispetto al capitolo precedente, ma non mancano comunque delle gag comiche per stemperare un po' la drammaticità delle situazioni, lasciate al già citato Yoda, ai due droidi C3PO e R2D2, ma soprattutto ai divertenti battibecchi che infarciscono la (mai banale) storia d'amore tra Han e Leia ("Ti amo." - "Lo so."). Non serve nemmeno parlare della colonna sonora, dato che è stata composta da John Williams, garanzia assoluta di perfezione (chi non conosce la Marcia Imperiale?). Ovviamente, come tutti gli altri episodi della saga, L'Impero colpisce ancora andrebbe considerato appunto solo un episodio, una parte di una storia più grande: vi consiglio quindi di vederveli tutti, non sarà tempo sprecato.
Grazie George, e buon compleanno episodio V!
VOTO: 8,5/10 come film singolo, il voto aumenta notevolmente considerando tutta la saga come un'unica opera.

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Star Wars: Episodio V - L'Impero colpisce ancora
Titolo originale:
Star Wars: Episode V - The Empire strikes back
Regia:
Irvin Kershner
Soggetto:
George Lucas
Sceneggiatura:
George Lucas, Leigh Brackett, Lawrence Kasdan
Anno:
1980
Genere:
Fantascienza
Interpreti Principali:
Mark Hamill, Harrison Ford, Carrie Fisher, Billy Dee Williams
Durata:
124 min (edizione speciale 129 min)
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore

Promettilo!

Data la scarsa importanza data a questo film nei cinema (già arrivato 3 anni dopo in Italia) della mia città, ho dovuto aspettare l'uscita in DVD per potermelo degustare. Sarà che mi appassionano certi film poco usuali, ma pensavo che la nuova fatica di Kusturica (insomma non stiamo parlando dell'ultimo arrivato) meritasse qualche spazio in più, un po' più di visibilità. Passatemi questo piccolo inciso e procediamo all'interno dell'opera. La storia inizia in una piccolissimo paesino sperduto in Serbia. Qui Tsane, un ragazzino parecchio sveglio, vive con il nonno Zivojin pascolando una mucca e aiutando il nonno in piccoli lavori. Zivojin credendo di essere ormai sul punto di morte (o forse finge di crederlo) chiede al nipote Tsane di esaudire i suoi tre desideri prima della dipartita: vendere la sua mucca e con i soldi ricavati comprare un quadretto di San Nicola, comprare un ricordo dalla città e trovare una moglie per sé con cui condividere il resto della vita. Per le prime due la risoluzione sembra abbastanza semplice, mentre invece per la terza (piuttosto difficile trovare un'altra ragazzina giovane come lui che voglia sposarlo) la situazione sembra parecchio più ardua. Da qui in poi Tsane entrerà in un vortice di situazioni assurde, grottesche. Così come grotteschi e assurdi risultano i personaggi (una costante di Kusturica). Durante quest'assenza di Tsane anche Zivojin avrà modo di ritrovare il percorso che aveva lasciato tempo fa. La storia è molto semplice, senza troppe sorprese. Ma i caratteri che fanno di quest'opera un buon film sono tutt'altri. Ad esempio una cura particolare ai dialoghi, alle finezze. Un immenso calderone in cui le scene comiche sono rette da una caratterizzazione esagerata delle usanze, dei luoghi dell'ex-Jugoslavia. A queste feste esagerate, sparatorie e gangster ridicoli tipici della regia di Kusturica, manca in quest'opera un altro grande filo conduttore della sua filmografia: la riflessione. Essa è molto più pacata, in sottofondo (es. problema della prostituzione); svolta decisamente inusuale per la sua produzione. Un po' strane alcune inquadrature, ma niente di così definitivo, stancante. Una nota positiva va anche alla colonna sonora, che si accompagna in maniera divina a queste immagini ridicole, solari. Globalmente un film molto godibile, senza far pensare troppo, ma che è perfetto per farsi due sane risate. Sarebbe molto più gradito se rimpiazzasse nei nostri cinema quei mesi di programmazione dedicati ai cine-panettoni e simili.

Non sarebbe meglio alle volte considerare le nostre vite alla luce di ciò che ci consigliano, invece che dover aspettare che siano gli eventi a doverci far capire cose che avremmo dovuto fare da tempo?


Voto 7.5/10

Saluti dal Brutto!

Scheda Tecnica
Titolo:
Promettilo!
Titolo originale:
Zavet
Regia:
Emir Kusturica
Sceneggiatura:
Emir Kusturica, Ranko Bozic
Anno:
2007
Genere:
Comico
Interpreti Principali:
Marija Petronijevic, Uros Milovanovic, Ljiljana Blagojevic, Aleksandar Bercek, Kosanka Djekic, Miki Manojlovic, Stribor Kusturica, Vladan Milojevic
Durata:
126 min
Nazionalità:
Francia-Serbia
Colore:
Colore

Panic Room

David Fincher occupa sicuramente un posto di un certo livello nell’Olimpo dei miei registi preferiti, però Panic room mi ha lasciato un po’ interdetto.
Meg Altman, divorziata da un ricco magnate dell’industria farmaceutica, si trasferisce in un’elegantissima casa newyorchese con la figlia Sarah; l’abitazione è enorme e, fra le altre stanze, ha una specie di bunker, completamente blindato, dotato di scorte di cibo e linea telefonica indipendente. Il bunker, la panic room appunto, serve nell’eventualità che ci siano intrusioni nella casa. Madre e figlia si troveranno ad averne bisogno proprio la prima notte nella nuova dimora: tre malviventi si insidiano in casa loro alla ricerca di qualcosa che sembra essere proprio nella stanza blindata. Se due di loro sono piuttosto innocui, vogliono avere ciò per cui si sono scomodati ed andare via senza far niente a nessuno, il terzo non sembra dello stesso parere.
Fincher si stacca dalla predominante psicologica che caratterizza i suoi film precedenti (Fight Club, Se7en) per fare qualcosa di più superficiale dal punto di vista mentale, ma comunque nel suo stile e con le sue tecniche registiche sempre impeccabili e sempre più affinate.
La prova è discreta per gli attori: Jodie Foster nel ruolo della madre che salva la situazione, impaurita e molto forte al contempo; una giovanissima Kristen Stewart che interpreta la figlia; nei panni dei tre malviventi troviamo Jared Leto, Forest Whitaker e Dwight Yoakam. Wikipedia mi viene in soccorso dicendo che per il ruolo interpretato dalla Foster, inizialmente era stata scelta Nicole Kidman che però, in seguito ad un incidente sul set di Moulin Rouge non potè presentarsi alle riprese, le fecero comunque fare un piccolo cameo telefonico… poco male, meglio la Foster!
Qualche approfondimento psicologico, in puro stile fincheriano non avrebbe guastato. È anche vero che, come nella maggior parte delle sue pellicole, Fincher ha messo su cellulosa cose scritte da altri: forse stavolta la scelta, ricaduta sulla sceneggiatura di David Koepp, non è stata delle più corrette. È comunque riuscito a dare un tono ad una storia che forse sarebbe potuta risultare un po’ fiacca.
Ok il pathos, ok la suspense, ok il sangue a fiotti, ma qualche trip mentale non ci sarebbe stato affatto male!

VOTO: 7/10

Il Buono.


Scheda tecnica
Titolo:
Panic Room
Regia:
David Fincher
Sceneggiatura:
David Koepp
Anno:
2002
Genere:
Thriller
Interpreti Principali:
Jodie Foster, Kristen Stewart, Jared Leto, Forest Whitaker, Dwight Yoakam
Durata:
112 min
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore

Dead or Alive

Ryuchi, un criminale cinese, decide di conquistare il potere in Giappone, mettendosi contro la yakuza, che per contrastarlo si allea con la triade cinese. A caccia del giovane malavitoso si metterà anche il detective Jojima, nella speranza di ottenere il denaro che gli serve per curare la figlia malata. Dead or alive è un film molto particolare: partendo da alcune specifiche premesse, le stravolge totalmente, in continuazione. Con una trama del genere poteva essere un classico film d'azione incentrato sulle eroiche azioni del personaggio principale, destinato a sconfiggere il cattivo di turno, ma dalle prolifiche mani del regista Takashi Miike esce qualcosa di molto più originale. Dopo un inizio velocissimo, dato da una serie di immagini ultraviolente di vari omicidi montate come in un videoclip (con tanto di musica rockeggiante) con altre di una ragazza che fa una lapdance, il film cambia subito di tono, rallentando notevolmente. Da questo momento le scene d'azione scompaiono quasi totalmente, a parte qualche sparatoria qua e là, e sono le psicologie dei personaggi a farla da padrone: Miike scava attentamente tra le emozioni e i pensieri dei due protagonisti, mostrandoceli ad esempio alle prese con le rispettive famiglie. Il regista vuole farci notare una somiglianza tra i due personaggi, quasi a dimostrare l'inesistenza di persone totalmente buone o totalmente cattive. Ryuchi e Jojima sono due figure vicine e intercambiabili (concetto poi ripreso nel terzo episodio della trilogia di cui questo film è l'inizio, in Dead or alive: Final infatti i ruoli sono invertiti), esseri bidimensionali, fittizi, in un mondo reale, crudo e violento: e lo vediamo bene nel punto più anomalo della pellicola, la conclusione. Infatti arrivato al momento dello scontro finale tra i due, il film cambia nuovamente tono, passando ad un'atmosfera assurda che mischia elementi western con altri adatti ad un cartone animato, con risultati apocalittici (nel vero senso della parola). Quello che resta più impresso di questa pellicola è perciò la straordinaria capacità del regista di padroneggiare generi, stili e ritmi totalmente diversi, unendoli per formare un film interessante e ben riuscito. Miike mantiene inoltre una regia originale senza farla diventare invadente, tenendola in secondo piano rispetto ai personaggi o all'atmosfera generale della storia. Dead or alive risulta quindi un'opera strana, non adatta a tutti, anche per i suoi contenuti violenti, ma è proprio questa sua stranezza che fa dire: "Takashi Miike è un genio! O un pazzo...". Ovviamente non esiste doppiato in lingua italiana.
VOTO: 7,5/10

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Dead Or Alive
Titolo originale:
DEAD OR ALIVE 犯罪者 Deddo oa araibu: Hanzaisha
Regia:
Takashi Miike
Soggetto:
Ichiro Ryu
Sceneggiatura:
Ichiro Ryu
Anno:
1999
Genere:
Azione, Drammatico
Interpreti Principali:
Riki Takeuchi, Shō Aikawa
Durata:
105 min
Nazionalità:
Giappone
Colore:
Colore

La Guerra Lampo dei Fratelli Marx

Nell'immaginario stato di Freedonia, per risolvere una grave crisi economica, viene eletto capo dello Stato Rufus T. Firefly, eccentrico personaggio che, affiancato dagli aiutanti Chicolini e Pinky, porterà scompiglio nel Paese, arrivando anche alla guerra con la confinante nazione di Sylvania. Che si può dire di un film che è alla base di buona parte della comicità e della satira attuale? I tre stili diversi dei fratelli Marx sono amalgamati alla perfezione: gag fisiche (quella dello specchio, riutilizzata migliaia di volte fino ai giorni nostri, è da antologia), battute e giochi di parole si intrecciano con una feroce satira politica, che condanna le guerre e i politici che le causano per motivi futili. Anche i numeri musicali, consuetudine dell'epoca che magari può risultare un po' indigesta agli spettatori attuali, risultano leggeri e divertenti, distribuiti in modo adeguato lungo la durata della pellicola. Un capolavoro con un messaggio sempre attuale (all'epoca ebbe scarso successo, per il modo così moderno di affrontare il tema politico), che ha piazzato le fondamenta per tutto ciò che ci fa ridere oggi, e che va quindi visto con attenzione e con lo spirito giusto.
VOTO: 8,5/10

Il Cattivo.

Scheda Tecnica
Titolo:
La Guerra Lampo Dei Fratelli Marx
Titolo Originale:
Duck Soup
Regia:
Leo McCarey
Soggetto:
Bert Kalmar, Harry Ruby, (Dialoghi Addizionali: Arthur Sheekman, Nat Perrin)
Sceneggiatura:
Bert Kalmar, Harry Ruby, (Dialoghi Addizionali: Arthur Sheekman, Nat Perrin)
Anno:
1933
Genere:
Comico
Interpreti Principali:
Groucho Marx, Harpo Marx, Chico Marx, Zeppo Marx, Margaret Dumont, Louis Calhern
Durata:
70 minuti
Nazionalità:
USA
Colore:
B/N

The Fall

Se un film inizia con “David Fincher and Spike Jonze present” è comunque un film da vedersi, anche fosse il sequel di un b-movie uzbeco degli anni ‘70. Fortunatamente la situazione non è così tragica.
Siamo in un ospedale di Los Angeles, nel 1915, Alexandria (Cantica Untaru) è una simpatica bambina di 5 anni un po’ grassottella che non riesce a stare nel letto e si aggira per l’edificio, ha un braccio ingessato a causa di una caduta mentre raccoglieva arance. Conosce Roy (Lee Pace), un giovane che ha poco meno di trent’anni, anche lui lì in seguito ad un incidente a causa del suo mestiere di stuntman, incidente che gli ha causato l’insensibilità degli arti inferiori. Senza un motivo apparente, che poi scopriremo più avanti nella trama, il giovane si mostra subito amabile con la bambina e inizia a raccontarle una storia. Ai personaggi di questa storia, Alexandria da i volti delle persone che sono nell’ospedale o persone di cui si ricorda. La storia, fatta di banditi, principesse, governatori malvagi e terre orientali, piano piano si mescolerà sempre di più con la realtà, dando esiti sempre più emotivamente coinvolgenti.
The fall, diretto da Tarsem Singh, è un film dalla forte carica poetica. La trama non è troppo intrecciata, ma buona parte delle sensazioni che suscita il film sono dovute alla componente registica. Una fotografia dalla fortissima carica emotiva: colori luminosissimi, composizioni studiate al millimetro! La pellicola, girata in più di 20 paesi diversi, è ispirata a Yo Ho Ho, un film bulgaro degli anni ’80. Singh, dopo The cell, con questa sua seconda opera, ci porta in terre lontane, dove la natura sembra neanche sapere dell’esistenza dell’uomo e dove la nostra fantasia può creare ogni storia.
Purtroppo The fall non è ancora uscito in Italia e si trova solamente sottotitolato, ma i dialoghi non sono né troppi, né troppo impegnativi.

VOTO: 7,5/10

Il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
The Fall
Regia:
Tarsem Singh
Sceneggiatura:
Tarsem Singh, Dan Gilroy, Nico Soultanakis
Anno:
2006
Genere:
Drammatico, fantasy
Interpreti Principali:
Lee Pace, Cantica Untaru, Justine Waddell
Durata:
117 min
Nazionalità:
USA, India
Colore:
Colore

Vamos a Matar, Compañeros; Blow-Up; 8½

Come preannunciato, ecco un mega-post per festeggiare le 1000 visite (ormai già superate di qualche numero)! Ringraziamo tutti quelli che hanno visitato il nostro blog, in questi mesi, e vi invitiamo ancora una volta a commentare i post, per un vostro parere sul film trattato.
Bene, dedichiamo uno spazio ai registi italiani. Abbiamo recensito Corbucci, Antonioni e Fellini. Ognuno con un genere diverso, ognuno operante in paesi diversi, ma tutti nati sull’italico territorio.

Vamos A Matar, Compañeros
Durante la rivoluzione messicana, un mercante d'armi (Yodlaf Peterson/Franco Nero) e un peone (El Blasco/Tomas Milian) si alleano per liberare il professor Xantos, capo di un gruppo di ribelli e unico a conoscere la combinazione di una cassaforte su cui i due vogliono mettere le mani. Con Vamos A Matar, Compañeros, Sergio Corbucci si inserisce nel filone degli spaghetti western comici, di cui Lo Chiamavano Trinità (dello stesso anno) è il più famoso esempio. Quello che differenzia questa pellicola dalle altre dello stesso genere è il forte messaggio politico che il regista inserisce travestendo il tutto da film popolare: lo spettatore accompagna i due protagonisti nell'evoluzione del loro pensiero, prendendo parte alle loro scelte, capendo le loro motivazioni, prima opportunistiche e dettate dall'interesse personale, poi rivolte ai bisogni del popolo, e quindi alla necessità di ribellarsi al potere. Tutta questa trama politica però non appesantisce il film, che grazie soprattutto alla caratterizzazione dei due personaggi principali (la parlata romanesco-spagnola di El Blasco/Tomas Milian è fonte di buona parte delle risate) è adatto anche a chi non è appassionato di western. Il punto forte di questo film è proprio il suo essere ben bilanciato tra scene d'azione (con tanto di duello finale alla Sergio Leone), gag comiche e momenti di riflessione; le musiche di Ennio Morricone come al solito sono perfette per il tono dell'opera e contribuiscono ad alzarne il valore. Vamos A Matar, Compañeros è quindi una pellicola ben orchestrata, con una trama forse un po' troppo lineare, ma con un messaggio importante e dei personaggi divertenti che riescono a rimediare a questo piccolo difetto.

VOTO: 7,5/10

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Vamos A Matar, Compañeros
Titolo originale:
Vamos A Matar Compañeros
Regia:
Sergio Corbucci
Soggetto:
Sergio Corbucci
Sceneggiatura:
Sergio Corbucci, Massimo De Rita, Fritz Ebert, Dino Maiuri
Anno:
1970
Genere:
Western
Interpreti Principali:
Tomas Milian, Franco Nero, Fernando Rey, Jack Palance
Durata:
118 min
Nazionalità:
Spagna/Italia/Germania
Colore:
Colore


Blow-Up
Questa è forse l'opera di Antonioni più scorrevole. Vengono lasciate da parte le difficoltà delle relazioni e l'incapacità di comprendere se stessi e gl'altri che caratterizzano la cosiddetta “trilogia dei sentimenti” (ovvero La notte, L'avventura, L'eclisse); ma viene invece analizzata la sottile linea che separa la realtà dalla finzione. Ciò viene fatto attraverso un evento imprevisto. Thomas è un classico dandy di Londra, un fotografo che lavora in un improbabile studio fotografico dal classico stile beat. E' il periodo delle contestazioni e inevitabilmente anche nello stile di vita di Thomas si ritrova il classico cliché “sesso droga e rock and roll”. Tutto ciò condito da una leggera misoginia, e un sottile narcisismo. Ecco come otterrete l'immagine perfetta della situazione. In questo costrutto socio-generazionale avviene però una frattura. Durante una sessione fotografica in un parco Thomas fotografa una coppia che si scambia effusioni. La donna visibilmente infastidita chiede insistentemente il rullino a Thomas, che però, attraverso diversi espedienti riuscirà a tenerselo per se. Analizzando più dettagliatamente in studio le foto (ingrandendole, da qui probabilmente il titolo Blow-up) e facendosi trasportare da una intuizione, Thomas finirà invece per scoprire una cosa ben più scottante. Da qui in poi cercherà di dare senso alla sua intuizione, che lascio a voi il piacere di scoprire vedendo e interpretando il film. Molto interessante di questo film è la fotografia: si ha la sensazione di passare da una scena ad un'altra come da un dipinto a un altro all'interno di una galleria. Inoltre sempre massimo rispetto alle inquadrature e all'attenzione dei dettagli che caratterizzano la regia di Antonioni. Ottima la colonna sonora e se fate attenzione potete notare che quei mattacchioni che suonano poco prima della fine del film sono gli Yardbirds.
La realtà e la finzione sono entrambe filtrabili attraverso la rete delle nostre emozioni, dei nostri desideri, solo dobbiamo fare attenzione a chi siamo realmente e cosa vogliamo.

VOTO: 8/10

Cari Mille vs Garibaldi alias Brutto

Scheda tecnica
Titolo:
Blow-Up
Titolo originale:
Blowup
Regia:
Michelangelo Antonioni
Soggetto:
Julio Cortázar (racconto breve)
Sceneggiatura:
Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra, Edward Bond
Anno:
1966
Genere:
Drammatico, thriller
Interpreti Principali:
David Hemmings, Vanessa Redgrave, Sarah Miles
Durata:
111 min
Nazionalità:
Regno Unito, Italia, USA
Colore:
Colore


Uff (si può dire “uff”?)… non è per niente facile recensire un film così, specie se non si ha una cultura cinematografica (e non) di dimensioni ciclopiche alle spalle e, soprattutto, se non lo si è capito fino in fondo… o forse c’è poco da capire?
Guido Anselmi è un regista in piena crisi d’ispirazione. Ha promesso di girare un film per il quale sono già iniziati i lavori di pre-produzione (provini, scenografie etc.) ed è attorniato da attori che gli chiedono quale parte avranno nel film, produttori che vogliono sapere quando inizieranno le riprese, critici intellettuali che si domandano che significato vorrà avere la storia, cardinali che gli danno consigli piuttosto inutili. La realtà però è che il film non esiste: Guido ha dato il via alla preparazione di una cosa che non vuole più fare, perché, effettivamente, non sa più cosa fare. Quindi è sempre sfuggevole quando si chiede lui qualcosa riguardo a questa sua nuova pellicola.
Come se non bastasse, il protagonista è assediato anche sul fronte sentimentale: l’amante che gli sta sempre tra i piedi, alla quale Guido sembra non voler più tanto bene; la moglie che sospetta di questo tradimento e lo tratta in modo assolutamente freddo, accusandolo di non dire mai la verità a nessuno. Il regista sente il peso di questo suo difetto, sa che mente spesso e volentieri, specialmente ai suoi cari, nascondendo loro il vero stato delle cose.
Unica figura che concilia queste due realtà è Claudia, una bellissima attrice, musa del regista, che esso vede come la sua unica salvezza.
Questa situazione di profonda infelicità non era già abbastanza e a tormentare il nostro ci si mettono anche i sogni e le visioni. Sogni e visioni di un passato da lui vissuto o immaginato; un passato che riesce a trasmettere una forte inquietudine anche se fatto da cose apparentemente semplici. Ma sono proprio queste visioni che aiuteranno Guido ad uscire dalla sua condizione e gli daranno una nuova spinta.
Un film, come si è detto, che si alterna tra realtà, sogno e finzione. Federico Fellini porta, all’inizio degli anni ’60, sul grande schermo parte della vita di un uomo che non sa più dove sbattere la testa. Un uomo che poi è lui stesso: proprio Fellini, prima di girare aveva iniziato le riprese per un film senza sapere come andare avanti. Decise quindi di raccontare proprio la storia di un uomo che non sa cosa raccontare!
A interpretare Fellini, mascherato dal protagonista Guido, è un favoloso Marcello Mastroianni che riesce a mantenere una pacata inquietudine per tutto il film, pur essendo costretto dalle situazioni ad assumere stati d’animo sempre diversi. Mastroianni è attorniato da una girandola interminabile di altri personaggi, interpretati, tra gli altri, da Sandra Milo, Anouk Aimée, Madeleine Lebeau, Mario Pisu ed una bellissima Claudia Cardinale nella parte della musa del regista, probabilmente la scelta di mantenere il nome reale potrebbe significare (ammesso che il regista non lo abbia dichiarato apertamente a mia insaputa) che l’attrice interpreti sé stessa.
“Non e un film che aspiri a interpretazioni sul piano ideologica e concettuale, anzi, ogni interpretazione e controindicata” ha dichiarato Federico Fellini che è riuscito in modo impeccabile a impressionare sulla pellicola l’infelicità di un uomo che non sa più quale strada prendere; attanagliato dal suo modo di essere sempre mendace e sfuggevole; inseguito e tormentato da un passato che è vivido in lui quanto il suo presente. Ma riesce a capire qual è la chiave della felicità, tant’è che in una delle scene più emblematiche del film dirà: “la felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno”.

VOTO: manco a farlo apposta, 8½

Il Buono
P.S. Chiedo scusa se questa recensione manca di un’immancabile confronto con altri film di Fellini, ma la mia cultura in materia è piuttosto limitata.


Scheda tecnica

Titolo:

Regia:
Federico Fellini
Soggetto:
Federico Fellini, Ennio Flaiano
Sceneggiatura:
Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Brunello Rondi
Anno:
1963
Genere:
Drammatico
Interpreti Principali:
Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Sandra Milo, Anouk Aimée, Madeleine Lebeau, Mario Pisu, Rossella Falk, Guido Alberti, Jean Rougeul
Durata:
138 min
Nazionalità:
Italia, Francia
Colore:
B/N

Il Treno per il Darjeeling

Mentre prepariamo un evento per "festeggiare" le 1000 visite (GRAZIE A TUTTI!), continuiamo la normale programmazione, e continuiamo con un regista affrontato piuttosto spesso ultimamente.

Un taxi piuttosto scassato corre a tutta velocità per le strade di una metropoli indiana. A bordo, oltre al tassista, un uomo d’affari palesemente impaziente. Il taxi si ferma davanti alla stazione, l’uomo d’affari inizia ad inseguire il suo treno, che è già partito. Durante la corsa viene superato da un uomo molto più giovane di lui, che lo guarda con aria di sfida. Quest’ultimo riuscirà a salire sul treno mentre l’altro rimarrà indietro, esausto.
È così che inizia Il treno per il Darjeeling: Bill Murray (l’uomo d’affari) che passa il testimone ad Adrien Brody: il primo ormai “di casa” nelle pellicole di Wes Anderson, si fa da parte per introdurre un nuovo ospite nel mondo del regista texano.
Francis, Peter e Jack sono tre fratelli che dalla morte del padre, circa un anno prima, non si parlano più. Francis, il più grande, organizza una sorta di viaggio spirituale attraverso l’India per ritrovare l’amore fraterno che sembra essersi smarrito da qualche parte. Ma questa riunione si rivela essere piuttosto disastrosa e le cose andranno diversamente da quelli che erano i piani di Francis, facendo compiere ai tre un percorso forse migliore di quello prestabilito.
Si accentua ancora di più la stilistica di Wes Anderson in questo film: un’esplosione di colori caldi, per richiamare il territorio indiano; largo uso dell’obiettivo grandangolare; scene emblematiche e particolari profondamente evocativi.
A livello di cast, oltre al suddetto Adrien Brody, troviamo due attori abituali delle pellicole di Anderson: Owen Wilson e Jason Shwartzman (quest’ultimo ha collaborato alla stesura della sceneggiatura). Grande prova per i tre, che riescono a trasmettere alla perfezione le continue incomprensioni e contrasti dei fratelli. Interessante la scelta di tre attori che, fisicamente parlando, escluso un naso abbastanza importante, non hanno assolutamente niente in comune!
Al solito, il regista riesce a trasmettere emozione ed empatia senza l’uso di mezzucci che stimolano la lacrima facile o cose del genere: cose semplici ma di grande effetto emotivo.
Wes Anderson continua sullo stile de Le avventure acquatiche di Steve Zissou ma, per il soggetto, torna un po’ sui passi de I Tenenbaum: l’amore tra familiari. I tre fratelli, nonostante le divergenze e le differenze caratteriali, si vogliono ancora molto bene… solo che devono ricordarselo!

Voto: 8/10

Il Buono

Scheda tecnica
Titolo:
Il Treno per il Darjeeling
Titolo originale:
The Darjeeling Limited
Regia:
Wes Anderson
Soggetto:
Wes Anderson
Sceneggiatura:
Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman
Anno:
2007
Genere:
Commedia, drammatico
Interpreti Principali:
Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman
Durata:
91 min
Nazionalità:
USA
Colore:
colore

Animal House

Animal House racconta le avventure di due giovani matricole, Larry e Kent, che si sono appena iscritte all'università e vengono accolte nella fratellanza Delta, la più scatenata e sgangherata del campus. Riconosciuta come la capostipite di tutto il filone delle cosiddette commedie scolastiche (la serie di American Pie su tutte), questa pellicola è adatta per passare un paio d'ore spensierate all'insegna della comicità. Parecchie scene sanno di "già visto", ma è solo perchè tantissime delle situazioni inventate per Animal House sono state poi riprese e citate in continuazione: il toga party (ancora oggi d'ispirazione per parecchie feste in tutto il mondo), la scala usata per spiare le ragazze che si spogliano, la battaglia con il cibo in mensa, il sabotaggio della parata. Ma il pezzo forte risulta essere un giovane e promettente attore lanciato proprio da questa pellicola: John Belushi. Le scene in cui è presente valgono da sole la visione dell'intero film, grazie alla sua mimica, alle sue reazioni esagerate e alle sue capacità ai limiti dell'inverosimile (beve tutta d'un fiato un'intera bottiglia di Jack Daniels!). È con Animal House che inizia la proficua (ci ha lasciato un capolavoro come The Blues Brothers) ma purtroppo breve collaborazione tra Belushi e il regista John Landis. Da vedere per farsi quattro sane risate e riscoprire all'origine tante trovate diventate ormai uno stereotipo. E poi, chi non vorrebbe aver partecipato alle feste della fratellanza Delta?
VOTO: 7/10

Il Cattivo (TOGA! TOGA! TOGA!).

Scheda Tecnica
Titolo:
Animal House
Titolo Originale:
National Lampoon's Animal House
Regia:
John Landis
Soggetto:
Douglas Kenney, Chris Miller, Harold Ramis
Sceneggiatura:
Douglas Kenney, Chris Miller, Harold Ramis
Anno:
1978
Genere:
Commedia
Interpreti Principali:
John Belushi, Tim Matheson, John Vernon, Tom Hulce, Stephen Furst
Durata:
110 minuti
Nazionalità:
USA
Colore:
colore

Moon

The dark side of the Moon: non è solo il titolo di un album dei Pink Floyd, ma anche l’ambientazione del primo lungometraggio di Duncan Jones.
Sam Bell lavora per la Lunar Industries, una grande azienda che si occupa di estrarre l’energia solare rimasta intrappolata sul lato oscuro della Luna, appunto. Il suo alloggio è una base lunare dove vive nella più completa solitudine; unico suo compagno è un computer dotato di intelligenza artificiale che comunica con lui, cercando di farlo stare il più possibile a suo agio. Il suo contratto, della durata di tre anni, sta per scadere e Sam sta per tornare a casa, momento che aspetta da tantissimo. Iniziano però ad accadergli alcune cose bizzarre, fino all’apice dell’assurdità: il protagonista trova… un altro sé stesso.
Duncan Jones, che, per chi ancora non lo sapesse, è il figlio di David Bowie, è riuscito a fare un buon film, nonostante il budget piuttosto basso. Lo stile registico è assolutamente adatto all’ambientazione lunare: colori freddi; atmosfere che lasciano un forte senso di incompletezza.
Con Moon, Jones va a citare, senza volerlo nascondere, altri capisaldi del cinema di fantascienza come Alien, Atmosfera Zero, e le due odissee – quella di Kubrick e quella di Trumbull, per capirci.
Ottima prova anche per Sam Rockwell, unico protagonista del film, praticamente, se togliamo quelle poche volte in cui appaiono dei personaggi sullo schermo della base. Rockwell si trova ad interpretare più versioni dello stesso personaggio, e la cosa gli riesce splendidamente. In lingua originale, troviamo Kevin Spacey a prestare la sua voce a Gerty, l’amico elettronico del protagonista.
Per concludere con quello che potrebbe essere il significato del film, non faccio altro che citare ciò che è scritto sulla locandina: a 950.000 miglia da casa, la cosa più difficile da affrontare… sei tu stesso.

VOTO: 7/10

Vostro affezionatissimo, il Buono

Scheda Tecnica
Titolo:
Moon
Regia:
Duncan Jones
Soggetto:
Duncan Jones
Sceneggiatura:
Nathan Parker
Anno:
2009
Genere:
Fantascienza, drammatico
Interpreti Principali:
Sam Rockwell, Dominique McElligott
Durata:
97 min
Nazionalità:
Regno Unito
Colore:
Colore

L'Uomo con la Macchina da Presa + "The Man with a Movie Camera"

L’uomo con la macchina da presa è il film che segna il punto più alto della carriera di Dziga Vertov. Datato 1929, è l’opera maggiormente rappresentativa del regista; il capolavoro della produzione vertoviana e sicuramente una perla del cinema sovietico. Nella pellicola Vertov mostra l’idea che ha di se stesso: quella di un uomo con un occhio in più: la sua macchina da presa, il “cineocchio”. Il film, che non ha sonoro, non ha alcuna didascalia e non ha un soggetto in particolare se non proprio il concetto di “fare cinema”. Le inquadrature, le scelte stilistiche e i ritmi di montaggio fanno sì che questo film venga classificato nel filone delle sinfonie urbane, ovvero quelle composizioni, non musicali, bensì filmiche, formate da immagini di vita quotidiana nelle grandi città industrializzate. Le immagini sono sempre le solite: vita cittadina, operai sul lavoro, strade gremite di gente, tram pubblici in movimento etc., ma, a differenza delle pellicole precedenti di Vertov, fortemente propagandistiche, stavolta prende piede il vero e proprio occhio che si limita ad osservare, registrare e documentare. Infatti l’attore protagonista, se così lo si può definire, del film è un cineoperatore che riprende usuali scene di vita nella città di Odessa, in una giornata lavorativa. Le immagini sono quelle dei momenti più comuni della quotidianità: lavoro, sport, svago etc. Ma il regista inserisce nel film anche dei richiami ad alcuni momenti che segnano le tappe nella vita dell’uomo: la nascita, il matrimonio, il divorzio, la malattia e anche la morte, riprendendo lo svolgimento di una marcia funebre.
Sul lato tecnico questo film è un concentrato di ogni tipo di sperimentazione possibile: sovrapposizioni di immagini, carrellate, riprese oblique, addirittura variazioni della velocità della pellicola fino al fermo immagine completo.
Il film, come già detto, era muto e Vertov non ha mai scelto né indicato delle musiche per fare da colonna sonora, perciò dagli anni ’30 in poi sono stati svariati i musicisti che hanno composto le musiche da accompagnamento alle proiezioni, tra cui Pierre Henry e più recentemente, nel 2001, Michael Nyman. Nello stesso anno questo compito è stato assegnato agli inglesi The Cinematic Orchestra. Il gruppo si forma alla fine degli anni ’90 e musicalmente abbraccia più generi; partendo da una base puramente jazz arriva a contaminarsi con l’elettronica, il trip-hop, l’acid e qualche leggero sprazzo di noise.
L’album, che farà da colonna sonora per il film di Vertov, viene registrato nel 2002 ed esce nella metà del 2003 per l’etichetta indipendente Ninja Tune. Il titolo dell’album non poteva che essere quello del film, ovviamente in inglese, The man with the movie camera.
La particolarità di questa unione è la palese “differenza generazionale”, ma la bravura dei Cinematic Orchestra è stata proprio quella di saper adattare ad un film di oltre settant’anni prima una composizione musicale assolutamente moderna. La musica segue perfettamente le immagini del film e, quando possibile, anche il ritmo di montaggio.
Il risultato che ci troviamo davanti è un’opera multimediale che si estende nel tempo e, perché no, nello spazio: dalla Russia degli anni ’30 all’Inghilterra del ventunesimo secolo.

VOTO: 8/10 (come opera cinematografica e musicale)

Il Buono


Scheda Tecnica
Titolo:
L’uomo con la macchina da presa
Titolo originale:
Человек с киноаппаратом (Chelovek s kino-apparatom)
Regia:
Dziga Vertov
Soggetto:
Dziga Vertov
Anno:
1929
Genere:
Documentario
Durata:
68 min
Nazionalità:
Unione Sovietica
Colore:
B/N


Per un'analisi più dettagliata cliccare QUI.

Bubba Ho-Tep

Prendete un Elvis invecchiato e decadente, un anziano di colore che crede di essere J. F. Kennedy e un'antica mummia egizia vestita da cowboy, mescolate il tutto con un'atmosfera horror e parecchio umorismo nero e avrete Bubba Ho-Tep. Tratto da un racconto di Joe R. Lansdale e ambientato in una casa di riposo del Texas, il film è imperniato attorno alla lotta dei due strambi protagonisti contro l'essere che sta lentamente uccidendo un gran numero di anziani rubandogli l'anima (gliela "succhia" via letteralmente, e non vi dico da quale orifizio...). Il vero mattatore della pellicola è Bruce Campbell nei panni di Elvis (ma è veramente lui, o è solo un imitatore che crede di esserlo? Il dubbio ci viene lasciato): l'attore riesce a caratterizzare benissimo un Re del Rock stanco, abbandonato e dimenticato da tutti, che passa il suo tempo a rimpiangere le scelte fatte in passato ed a domandarsi come sarebbero andate le cose se avesse agito in modo diverso. Vedendo nella lotta alla mummia una possibilità di ritornare ad essere l'eroe che era un tempo, Elvis ritrova l'energia perduta e la forza di non guardarsi più indietro. Il film scorre rapido, mostrandoci nella prima parte la lentezza della routine della vita nella casa di riposo, ma accelerando di ritmo man mano che si arriva alla seconda metà, tra scarafaggi giganti, flashback sul passato del Re e lo scontro decisivo su una sedia a rotelle lanciata a tutta velocità. Bubba Ho-Tep ci dimostra che sono le idee a fare del buon cinema, e dovrebbe essere di lezione per chi continua a produrre film horror sempre uguali. Essendo un gioiellino fresco e originale, ovviamente non è mai arrivato in Italia, e quindi è possibile vederlo solo in lingua originale.
VOTO: 7,5/10

Il Cattivo.

Scheda tecnica
Titolo:
Bubba Ho-Tep
Regia:
Don Coscarelli
Soggetto:
Joe R. Lansdale (Racconto)
Sceneggiatura:
Don Coscarelli
Anno:
2002
Genere:
Horror, Commedia
Interpreti Principali:
Bruce Campbell, Ossie Davis, Bob Ivy
Durata:
92 min
Nazionalità:
USA
Colore:
Colore

Iron Man 2

Dopo aver rivelato al mondo di essere Iron Man, Tony Stark deve vedersela con le difficolta derivate da questa scelta, confrontandosi con le aspettative che la gente ha su di lui e combattendo un nuovo avversario venuto dal passato, il criminale russo Ivan Vanko, alias Whiplash. A due anni dall'uscita del primo capitolo, Robert Downey Jr. torna ad indossare l'armatura rossa e gialla, e come da aspettative, non delude. È proprio Downey Jr. il punto forte della pellicola: come una calamita il giovane attore attira su di se le attenzioni degli spettatori, quasi oscurando i ruoli di Gwyneth Paltrow, Sam Rockwell (che comunque riescono a ritagliarsi un buono spazio nel film) e Scarlett Johansson, che sembra inserita più per mostrare la sua bellezza che per farla recitare. Le scene d'azione ci sono, ben distribuite e mai troppo lunghe, ed è un punto di forza, in un'epoca traboccante di pellicole piene solo di esplosioni e sparatorie. Il difetto di Iron Man 2 è il leggero senso di già visto che è presente per tutta la durata della proiezione: nel primo episodio il mix di azione, comicità (tamarra) e quel pizzico di serietà che non può mai mancare risultava efficace e fresco proprio perchè si trattava di un prodotto nuovo, mentre con il secondo episodio si ha l'impressione che i produttori non abbiano voluto rischiare, riproponendo lo stesso cocktail, che di per sè funziona, ma che risulta ripetitivo. Nulla che comprometta la godibilità del film, ma si sarebbe potuto fare qualcosa di più. Gli appassionati di fumetti Marvel si divertiranno a trovare le citazioni nascoste qua e là (rimanete fino alla fine dei titoli di coda per una scena aggiuntiva, se siete fan dei supereroi).
VOTO: 6,5/10

Il Cattivo.


Scheda Tecnica
Titolo:
Iron Man 2
Regia:
Jon Favreau
Soggetto:
Marvel Comics (Fumetto)
Sceneggiatura:
Justin Theroux
Anno:
2010
Genere:
Azione, Supereroi
Interpreti Principali:
Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Don Cheadle, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Mickey Rourke
Durata:
124 minuti
Nazionalità:
USA
Colore:
colore